DOVE ANCORA IL CIELO
Sò, nella stessa misura dell’incertezza.
Con la stessa durezza che scrive la vita
sui palmi della disperazione. E’ così
che io canto e rinnego la luce, rendendo
alla voce -sul nascere- quel flebile pianto
stonato dei miei ruvidi e arditi sorrisi.
E con la stessa canzone, sciolgo le
nebbie di questo assurdo volerti, nelle
ruggini oblique del tuo mancare.
E sbiadendo -fluisco tra la pelle dell’ultimo
strato di vento. Sbiadisco, fin oltre la gola
di un sogno sdentato, che ti serra -ancor
prima di berti- dentro l’alba salina di un
fiume di lana. Scivolando. Impervia,
come piccola stella marina nel cielo,
cui non manca il coraggio nè la paura
di morire -Volando, oltre un ripetersi
d’aria e il mancato -tuo respiro.
MARIA GRAZIA VAI
18luglioduemila13
[ A mio padre e a mia madre. L’uno dell’altra -l’estate e l’inverno del mio respiro ]
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