PARLAMI DEL MELOGRANO
Pareti senza voce né
tempo
strappano l’ultima
pagina
dagli inverni ancora
svegli
dei sentimenti che ho
soffocato
negli sguardi rotti
delle tue stanze.
Trascinando d’ogni ora
- le mani
e gli occhi - fin dove
resta gestante
l’uso segreto della
parola. Lì,
dove l’amore sciocco
delle nostre
candele, torna ad
essere quell’impazienza
che partorisce il nome
dei passi nell’utero
amaranto dei giocattoli
di carta.
Quei sandali che
spezzano le corde
del silenzio, solo per
piangerti le note
di una musica di pezza.
Qui, tra i polsi
che gridano senza che
alcuno ci veda
Dove ancora avrò voce
per ricordare
il gusto di un bacio, e
voglio sia Tu -a
masticarmi la buccia e
i pensieri.
Annegando nel mio
stesso pensarti
come un cero tra i
fiori del melograno.
Tra le stelle rapite o
i lamenti scomposti
del nostro desiderio,
legato al fianco grezzo
d’una notte, consumata
nel respiro della
penultima -incomprensibile
parola
riemersa -pellegrina, a
illuminare i fuochi
di altri fiati.
Maria Grazia Vai
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