OSPITE D'ONORE
PREMI SPECIALI
PREMIO SPECIALE MEMORIAL NINA ESPOSITO
istituito dalla presidenza del Premio in seguito alla prematura scomparsa della pittrice
Nina Esposito (autrice delle precedenti edizioni)
con la poesia
E buttiamoli
giù
questi muri,
questi assetti razionali
prima che
tutto venga pensato
prima che
venga asciugato dal maestrale
e
anneghiamoci nelle pinte dei pub, avremo
i movimenti
insicuri della terra. Avrai.
Avremo
aspetti indecifrabili, cercherò poesie
che ci
salvano
basterà solo
sfiorarsi
e tutto sarà
più colmabile;
prendiamoci
una nota alta da questi resti
già i tamburi
ci scandiscono i nomi, poi
urlando per
le strade deserte
getteremo a
turno le vesti. Ci daremo
i corpi,
prima che le luci ci distraggano
prima che i
semafori serrino gli incroci. Notte
ti portiamo
due respiri
due labbra,
un languore.
la videopoesia realizzata da ImmagineArte in
collaborazione con Rodolfo Vettor.
Videomaker Maria Grazia Vai
" Il bosco "
Lui ha il sorriso del
bosco
e quelle chiazze
ammiccanti d’azzurro
che occhieggiano tra le
frasche.
Ruscelli sgorgano
come dalla sua bocca
quando traduce
il legno che lo vive.
Non so se gli ride
il fusto
quando lo sento vibrare
del mio vento,
se si incendia
in una danza della gioia
ogni favo rimasto senza
miele,
se si sente sino allo
sfregare
delle pietre
tutta la fusione del
sommerso.
Ma so che allo stormire
dei miei giunchi
tutte le sue sterpaglie
prendono il volo
e il pompare nel tronco
si mischia al rumore
delle mie gocce gementi
in caduta.
la videopoesia realizzata da ImmagineArte in collaborazione con Rodolfo Vettor.
Videomaker Maria Grazia Vai
“ Ombre “
Ho appeso le mie ciabatte
Vestirò di ombre e fili d'oro.
-cosa farò dei veli trasparenti nei cassetti-
quando il tempo fuggirà via tra i capelli
e la strada condurrà dove tutto è muto.
Sono la sposa senza fede,
le dita nude,
il collo spoglio di catene
e il sogno ricoperto dalle nubi.
Mi dolgono le ali se la farfalla ha i miei
colori
nel mentre il volo si fa astrale
e vago dove ho vissuto le mie ore piene,
all'insonnia che stringeva le tue caviglie
e al calore della pace, quando il tuo cuore,
respirava ancora le mie sere.
la videopoesia realizzata da ImmagineArte in collaborazione con Rodolfo Vettor.
Videomaker Maria Grazia Vai
SEZIONE POESIA
PRIMO classificato VALERIA D'AMICOcon la poesia
“ Mi siedo accanto “
a mia madre
Mi siedo accanto alla poltrona
che ti accoglie reclinando piano
quel contenuto fragile di vita,
mi accosto all’ordine perfetto
dei tuoi capelli bianchi che ora
un’altra mano preziosa cura.
Hai rivoli di luce sulle guance,
così stranamente bianche,
nemmeno un filo di rossetto
eppure le tue labbra seguono
un disegno tristemente uguale
perfetto anche nella memoria.
Non chiedo di girare la clessidra,
né di cambiare il meccanismo
inceppato senza una ragione,
sospendo le lacrime negli occhi,
quando sorridendo, incerta prendi
la mia mano e sembra tornare
il tempo e lo stupore degli abbracci.
-Che belle mani ha questa signora-
esclami forte, riempiendo il fiato
e le parole di una tua piccola,
solita risata, quella la riconosco, sì,
così mi uccidi, ridendo, e mi incidi
il taglio netto nella fessura dei ricordi.
Ho imparato la vita da te, la speranza
di vedere le lucciole, lo stupore
dei colori nelle nuvole, le acrobazie
dei rampicanti sui balconi, adesso
imparo il dolore della resa e cerco
un altro altare su cui portare fiori.
“ Mi siedo accanto “
a mia madre
Mi siedo accanto alla poltrona
che ti accoglie reclinando piano
quel contenuto fragile di vita,
mi accosto all’ordine perfetto
dei tuoi capelli bianchi che ora
un’altra mano preziosa cura.
Hai rivoli di luce sulle guance,
così stranamente bianche,
nemmeno un filo di rossetto
eppure le tue labbra seguono
un disegno tristemente uguale
perfetto anche nella memoria.
Non chiedo di girare la clessidra,
né di cambiare il meccanismo
inceppato senza una ragione,
sospendo le lacrime negli occhi,
quando sorridendo, incerta prendi
la mia mano e sembra tornare
il tempo e lo stupore degli abbracci.
-Che belle mani ha questa signora-
esclami forte, riempiendo il fiato
e le parole di una tua piccola,
solita risata, quella la riconosco, sì,
così mi uccidi, ridendo, e mi incidi
il taglio netto nella fessura dei ricordi.
Ho imparato la vita da te, la speranza
di vedere le lucciole, lo stupore
dei colori nelle nuvole, le acrobazie
dei rampicanti sui balconi, adesso
imparo il dolore della resa e cerco
un altro altare su cui portare fiori.
la videopoesia realizzata da ImmagineArte in collaborazione con Rodolfo Vettor.
Videomaker Maria Grazia Vai
classificato
“ La slitta del sergente “
Ora che la prima neve
fa sopra i tetti cartolina
e dentro l’anima è sudario
sugli abeti crocifissi,
una risposta Mario te la vorrei dare.
- Vedi - la speranza è proprio là
seduta sopra quella slitta nella piana
imbevuta
della luce che tu sai, bianca di neve.
Lassù, dove il piano si connette al monte
e valli e cielo versano grumoso latte,
voglio ancora immaginare
sguardi innamorati di bellezza
sotto la luna ammantata a sposa.
Allora sfumano lente in albe
tutte le notti del mondo
perché sotto quella luna piena nella piana
la poesia non muore e tu lo sai
- Sergente -
fino a quando esisterà
anche solo un uomo sulla terra
e la terra dentro occhi innamorati.
classificato
“ Di croce in croce”
Elì, Elì, lemà sabactani?
(Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?)
In questa pianura di pece prestata alla
quiete,
che stende il suo macabro corpo ben oltre la
sera,
con l’occhio sfocato che indugia aldilà della
rete
io sfuggo a colline di carne, a facce di cera.
La veglia al tizzone annerito che era un
soldato,
cercare i resti dell’uomo in questa trincea
tra il puzzo di morte e paura che mi ha
devastato
e sale dal ventre un conato di nera marea.
Qui dove terrore e follia si tengono per mano
bestemmia è pensare che Dio sia tua
somiglianza,
qui dove anche il Padre ripudia il genere
umano
da orfano attendi spaurito la nuova mattanza.
Elì, Eli, lemà sabactani?
(Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?)
Un soffio infuocato ti prende le guance a
ceffoni
sul bimbo di carta velina si arrampica un
ragno,
la sete lo sta consumando e resta a bocconi
da mesi la pioggia tu implori a quel cielo
taccagno.
Il pozzo è inutile bocca che arsura ha
asciugato,
il vento solleva beffardi fantasmi di sabbia,
tuo figlio è un pupazzo di pezza ormai
inanimato
e gli ultimi istanti di vita li cedi alla
rabbia.
“Kintsugi”
Sarà quel tremare di stelle
a svelare la notte il tormento
di vele ammainate sul ciglio d’abissi
spalancate le fauci rapaci di onde
a ingoiare quei figli piovuti dal cielo.
Dentro le voci sperdute alle nebbie
lo strazio di madri che cercano i figli
l’angoscia dei figli che invocano madri
e tutto il mondo si sgretola intorno
sotto a montagne di fango e detriti
di ghiaccio il silenzio sporco di sangue.
Verrà a farsi carne la parola
curando d'oro le ferite
luce ad ogni crepa e di respiro
il tempo a farne cicatrice.
“ Noi non dormiamo sulla collina”
Noi non dormiamo sulla collina
come le anime dello Spoon River…
e come potremmo?
Noi, vaghiamo senza pace né giustizia,
scarpe imbrattate
del nostro stesso sangue sparso ovunque;
a futura memoria sepolcri improvvisati
su argini e fossi,
dove la pietà del viandante
ogni tanto lascia un fiore.
Noi siamo numeri riportati
sulle pagine di orride storie;
protagoniste di relazioni senza scampo.
Non pensateci a dormire sulla collina,
come le anime dello Spoon River…
La nostra anima è rimasta impigliata,
negli artigli delle belve.
“Siamo anime di carta
nell’abisso”
Dedicata ai trentatremilasettecentosettantuno
ebrei massacrati nel 1941, in soli due giorni,
dai nazisti nel fossato di Babij Jar (Kiev -
Ucraina)
Siamo anime di carta nell’abisso,
nell’assoluto vuoto di parole
solo preghiere urlate senza voce.
Si spera che il Signore ci raccolga
da questa bolgia al centro dell’inferno
tra i demoni dagli occhi di metallo
e il fango mescolato al sangue vivo
che sgorga dalle nuche spalancate
dei miei fratelli sparsi tra le ossa.
L’alba non ha portato che tormento
e raggelanti urla di vendetta
piovuta all’improvviso su di noi
popolo stanco sparso per il mondo.
Croci uncinate ai bordi del cammino
che porta alla spianata del martirio,
è qui che trionfa il simbolo del male:
non c’è misericordia a Babij Jar.
Le raffiche di mitra sono falci,
mietono vite come verdi spighe
da consegnare al pozzo dell’oblio.
La luce è una terribile speranza
da catturare come il desiderio
di dare fuoco al fuoco della vita,
come acqua che zampilla nel deserto
per non versare lacrime nel vento.
Si canta per scacciare la paura
di non lasciare tracce di memoria,
si canta per eludere il tormento
di arrendersi restando ancora vivi
al maledetto abbraccio della morte.
“ Malinconia di novembre”
Mi resta il suono
denso del ricordo
quando la nebbia
sale lenta, e bianca
si posa sulle tombe
tra i viali
cosparsi di
silenzio e foglie morte.
Mi restano visi
sorridenti e voci
risonanti sulle
soglie di quando
l’ombra nascondeva
il mio domani,
mentre il tempo
scivolava molle
insieme agli anni
e, tra le zolle,
le stagioni
serbavano segreti.
Adesso tutto è
silenzio nel tempo
che è passato, le
voci stanno chiuse
tra le pietre,
mesto mi riporta un tocco
le ore scandite
nelle sere in cui il mondo
si assopiva e ai
miei voli celava le sue croci.
Solo un fiore
rimane ora sulle tombe
a consolare giorni
privi di risveglio,
sigillo di un
inverno su vite inabissate,
su ciò che anche
noi, in impossibili
ritorni, nel tempo
siamo stati.
“ Il sogno di Danilo “
a Danilo Dolci
Sono venuto dal
Nord in questa terra
dove il vento caldo
accarezza i carrubi
e le reti dei
pescatori traboccano
di tonni traditi
dalla ricerca di libertà.
Qui il pane ha
fragranza d’oltralpe
e l’acqua ha sete
di giustizia,
strida disperate di
aquile ferite
lambiscono l’aria
di polvere e sangue:
così radio poveri
cristi ha dato voce
al sogno di libertà
dalle catene dell’inganno.
E ho scelto di
vivere in questo luogo,
fra i miserabili
dei giorni uguali
ad ascoltare il
brontolio delle pance vuote
e le menzogne d’un
futuro che mutava.
I miei figli hanno
nelle vene sangue
del Vespro e di
Rinaldo, scrutano
il mare azzurro con
l’antico vigore
dei cavalli
normanni che galoppano
nella piana
assolata dove sventolano
bandiere come
lenzuola bianche
ai balconi fioriti
in primavera.
Qui, terra di
confine tra cielo e mare,
dove il coraggio è
legato ad un no
e vivere è lotta
tra parola e silenzio,
ho piantato un
albero d’ulivo
dove ragazzi e
ragazze s’incontrano
per cantare parole
di pace e d’amore,
scrutando il sole
oltre la verde collina.
“ Pasta e lenticchie”
Si fredda presto,
la pasta e lenticchie del mercoledì alla
Caritas,
come uno sguardo distolto in fretta,
come il ronzio scacciato di una confidenza
così uguale a tutte quante le altre
che pare impresa
ridurla in versi regolari.
Una miseria quotidiana
che chiama dignitosa
solo chi conosce la fortuna
del mestolo dal lato che si impugna.
La colpa, in fondo, se si fredda
è anche dei tanti che ci vengono:
si è in cento a pranzo
e ne arrivano ogni giorno altri
che sperano non esserci domani.
Ci sarò presto anch’io, forse,
nella fila stretta tra il parmigiano e le
polpette,
a imparare il senso del dolore
e il poco valore che hanno oggi le parole.
Ci sarò anch’io, un giorno
a scoprire un modo per colmare
tra tutti i vuoti che ha scavato il mondo
se non altro, il più rabbioso.
“ Nel binario sei volata”
a Beatrice Inguì
La ragazza del torinese che
nell’aprile del 2018 si buttò
sotto un treno alla stazione di
Porta Susa (Torino)
a causa del profondo malessere
derivatole da atti di bullismo.
Quando cade la
pioggia c’è un velo
di tormento
nell’aria che offusca
immagini di campi
beati e sorrisi
freschi, convinti
che la vita sia bella.
L’acqua tinteggia
di niente la pelle,
il ticchettio
amplifica suoni cupi
-porte colpite e
sputi d’intonaco-.
Nel binario sei scesa
con sprezzo
satura d’offese,
frecce di risa
e identità altra,
che non ti veste.
Cali nel ferro e
istanti tremendi
la tettoia che
inganna, tenda di lutto.
Viscido e acuminato
è il lemma
che fende e sventra
l’essenza:
penetrando
sottopelle, ha annegato
di rabbia i
neuroni, trafitto i pensieri.
Sei scesa nel
guizzo caparbio,
corpo già legato al
niente;
l’impatto l’ha
fatto multiplo;
nel puzzle non si
sa mai come
anticipare l’inizio
della forma
né ravvisare
l’elemento di margine.
Odio a sfinimento è
somma certa
agli artefici della
banchina ultima.
Sei scesa non vista
dal convoglio,
bronco d’acciaio
che zigzaga
tra valli e ritorna
al capoluogo.
Nel rito di sempre
hai vidimato,
del paradiso
l’accesso ti sia ampio!
La pioggia s’è
sparsa: nei refoli lievi
tra l’aria sento il
risucchio del ferro.
“ Gessica ero e Gessica
rimango “
(a Gessica Notaro)
Sai, continuo ad
essere bella:
la mia anima è un
sole riflesso sul mondo
e non puoi
scioglierla con la nube esplosiva
che ha impresso il
segno della tua violenza.
Le cicatrici di cui
m’hai segnato la pelle
sappi son come le
sponde del Nilo:
una fertile terra
coperta di limo
dove ogni giorno
rinascono fiori,
boccioli di rosa
per mani d’amore
che danno carezze
all’amata fanciulla,
mentre le tue sono
mani rapaci
che stringono il
vuoto e il senso del nulla.
Sai, quando guardo
i miei occhi allo specchio
esso mi dice che
restano puri
come la luna
riflessa in un pozzo,
perché sono nata
ancora una volta
quando ho deciso di
non morire,
dando invece al
dolore una svolta.
Tu per me oramai
non esisti:
nel cortocircuito
del buio orizzonte
(come il cielo a
lutto di un Venerdì Santo)
quel giorno ho
visto morire il tuo cuore
e ho avuto pena per
il suo funerale:
sembrava un verme
coperto di sputi
e stavo male
pensando al passato,
così ho deciso che
dovevo guarire
andare avanti
e dimenticare
tutto il veleno del
tuo falso amore,
tutto lo sporco
candore dei baci
“La morna del gabbiano
ferito”
A Willy Monteiro Duarte, alla sua mamma,
alle mamme dei suoi carnefici.
Non avrai alba o
tramonto,
l’amaro caffè delle
otto,
il rumore del vento
tra i rami,
il sorriso di un
amore annunciato.
Non avrai neppure
dubbi e rancori,
i calzini intrisi
di pioggia,
un treno partito in
ritardo,
un sogno tra le
pieghe del cuore.
Tua madre riscalda
la cena
e canta l’Africa
amata,
una morna imparata
a memoria,
Capo Verde terra di
mare.
In questa sera di
immobili stelle
l’asfalto è un rude
cuscino
e l’odio la greve
coperta
gettata sulle tue
costole stanche.
È un gioco inverso
e crudele
questa vita di
sabbia sfuggente
e tu, gabbiano
ferito,
hai vinto chiudendo
le ali,
mentre lo stormo
felice ed ubriaco
proseguiva
nell’aria il suo volo impazzito.
“ I treni per l’oblio “
Strappati e
rastrellati dalle case,
divisi dagli
affetti a noi più cari,
segnati sopra liste
da reietti,
smistati come
lettere del nulla,
spediti dove il
vento va a morire.
Privati di una vita
dignitosa,
da un mondo cieco e
senza comprensione,
da un pazzo, un
assassino di regime.
Stipati come bestie
da macello,
schiacciati,
spaventati, violentati,
viaggiamo dentro i
treni per l’oblio.
Portiamo la paura
in fondo al cuore,
la rabbia di un
destino maledetto
per esser figli di
sbagliata stella,
la stessa che ho
cucita sulla giacca.
Al fine scenderemo
dai vagoni,
respireremo cenere
nell’aria.
Non credo renda
liberi il lavoro,
nemmeno le torture,
le barbarie.
L’odore nei polmoni
sa di morte…
Si spera il tempo
serbi la memoria
del nostro
genocidio da dannati,
bruciati come
libri, come storie,
nel freddo d’un
inverno senza requiem.
Oggi resto così, scollegata e spenta
senza suoni né luci al neon
in un mondo in diretta
intrappolato nella rete.
Fremiti di ali di farfalla
sbattono nel vuoto, ingenue e sgargianti
un quasi fastidioso fruscio.
Natura si sveglia su un'arida terra dormiente;
una primavera slavata, inutile e sciocca.
Cuori sminuiti e spogliati
forse da tempo in lockdown
appesi ad asciugare
sotto i raggi raggrinziti
di un sole polveroso.
Da dietro una finestra,
una tromba solitaria annuncia il suo inno
al deserto di strade immote e ammutolite.
Giorni senza annotazioni
strappati nel cestino tra i rifiuti.
E i sogni pagati a rate
sono oggetti fragili, da maneggiare con cura;
acquisti on line inscatolati
ammuffiscono in umide cantine
tra cellophane e cartone.
Amore soltanto stride
nei versi di rapaci notturni
voci selvatiche di bestie
che godono d'un surreale silenzio
scavano la profondità della mancanza
in notti lunghe senza treni.
“ Stella stellina,la
notte si avvicina ... “
“ Passeggiando“
“ Aspettando te “
“ Senza identità “
“ Mare d’inverno“
“ Piazza Garibaldi “
“ Unicità nell'essere “
“ Giro giro tondo ... “
“ Fredde solitudini “
“ Archi di tempo -
Duomo di Amalfi “
UNA SELEZIONE DELLE MIGLIORI OPERE FOTOGRAFICHE
in un video di ImmagineArte
Haiku
il corrispettivo del premio, consistente nella
pubblicazione di una silloge di haiku, è stato devoluto, su richiesta
dell’autrice, alla Fondazione Gaia per le opere di ristrutturazione e
completamento di VILLA GAIA-CASA DELLE DONNE
la videopoesia realizzata da ImmagineArte in
collaborazione con Rodolfo Vettor.
Videomaker Maria Grazia Vai
Rosa Maria Di Salvatore
mandorlo in fiore -
chissà se mia madre
sta sorridendo
Anna Maria Domburg-Sancristoforo
stelle cadenti
le parole lasciate
lungo la strada
Maria Teresa Piras
profondo
autunno -
la
forma del dolore
sulla
sua fronte
Daniela Misso
sulla
mia ombra
si posa
silenziosa
una
farfalla
Carmela Marino
stella autunnale-
un respiro lasciato
sul finestrino
la prima ruga-
quella curva nascosta
dietro la quercia
Marina Filiputti
Fili d’argento
la luna ha pettinato
Michele Pochiero
campi d’autunno-
correndo ancora dietro
Roberta Placida
alberi spogli
S’allungano le dita
Mauro Battini
vecchie ferite -
lasciarsi attraversare
Antonella Seidita
Il vento porta via
Caterina Levato
arrivano e partono
Giovanni Odino
eppure è notte -
dove sono le lucciole
della mia infanzia?
Grazia Giuliani
piccola luna-
a sera il cielo chiaro
non ha una stella
Marco Polli
Cadon le foglie
nell’autunno inoltrato:
bandiere al vento
Alessandra Carnovale
“ Icaro e
Dedalo “
olio su tela
“ Millerighe”
tecnica del collage utilizzando esclusivamente bustine di zucchero originali
(non trattate)
“ Melina con la nipote”
olio su tela
“L’amore per il cappellaio”
acrilico, pastelli e penne gel
“
Dal tempio”
olio su tela
“ Sofie “
acquerello
“ Braccia forti”
olio su tela
“ Ezio Bosso “
tecnica del collage
utilizzando
esclusivamente
bustine di zucchero originali (non trattate)
conferita all'artista
ALBINO CARAMAZZA
Veni lestra staséra
- Vieni presto stasera -
Veni lestra staséra, veni candu ‘ntrina
a li primm’umbri, candu s’affacca
chidda falci di luna
cumpagna di la stélla cinatoggja.
No l’ambarà lu buggju più trunali
cussì chi no mi paldia cilchendi lu tó’ risu
chì voddu carignà li sònnii gali
a chissi chi fai tu, dulci accisu
undi li camini di la fantasìa
àndani pari pari a dilicati sintimenti.
Veni lestra staséra
veni cu l’ammenti e cu l’ùltimi bóli
di graziósi rundinéddi illa marina
chi a piciu d’ea ghèrrani appaggjati
l’ùltima caccia ill’aria trina
primma di ritirassi.
Lu bulbuttu di lu riu
è ancóra ‘iu, guasi a spantassi
palchi la notti ha vintu
contr’a lu dì passatu ed éu, a un latu
mirésciu la tó’ cumpagnia.
Veni lestra staséra, veni a l’óra di li fati
ch’aggju un sigrettu
e ti ‘óddu mittì in palti
rigalatti lu mé’ mundu
chi a alti dà no possu: lu mé’ mari
a candu calmu e a candu mossu
e li mé’ dudi chena celtittù.
Palch’aggju un bóitu...
mi manchi proppriu tu!
la videopoesia, nella versione in lingua italiana, realizzata da ImmagineArte in collaborazione con Rodolfo Vettor.
Videomaker Maria Grazia Vai
Feminas, animas istimadas
- Donne, anime amate -
Bos ap’appidu in d’una isula antiga
mentres chircaia in chiliros de pensamentu
in camineras bias chi cantan sa vida,
sa manera de fundere s’oro de su tempus.
Massaju de sos misterios de su mundu
apo semenadu sas menzus majías
de su Pensamentu chi ballat intundu:
Sun naschidos fiores de Poesia,
Azis basadu, cun laras de amore,
sa ‘ucca de s’anima mia, de s’Essere meu,
fizu disterradu de su Mudigore,
illaccanadu nuschende su bellu, su feu.
Oh, mamas chi ‘enides che Parcas cantende!
Ammajadoras m’azis fattu naschere a nou
intundu a su ballu de sa vida ballende,
iscurtende su faeddu de su mudore Sou.
Sezis istadas jogulu de su sambene meu,
teraccas fideles de su dolore,
antzillas istimadas de su morrere meu,
amantes ingraidadas dae s’amore.
Che mamas azis abertu coros e bias
pro pigare e falare dae su chelu,
connoschere s’ojada de cussu Deus
chi si cuat in dogni cara ‘e zenías.
Oh! Feminas, animas bellas e istimadas!
Semus ancora umpare in su nidu de sos ammentos.
Sa ‘oza de ‘ois est semper bia, durches e galanas!
Est s’alimentu de sa nostalgia, sa fortza de sos ‘entos.
Est su piantu de su segretu cuadu,
rinuntzia de su disizu illaccanadu…
Indù sparés al Po
- Dove scompare il Po -
L'è là, indù sparés
al fjóm,
ca nàs i insógni,
l'è là, indù bój al
sój
e trèma al scùr dla
nòt,
ca s' lìva al sòl.
Gh'è na chiét péna
d'aqua,
ch' la t' fà lùśar
i uc,
gh'è na fórza viva,
ch'la va sènpr
avànti,
sènza farmèras.
Al fjóm, cùme al mi
cór,
al vré abrazèr al
nóval,
ma al zìl l'armàgn
luntàn,
al zelèst là 'd có,
na tólta in gìr,
an s' pò pjó tunèr
indrìa,
inótil resestàr,
inpusébil scapèr
vìa,
t'aspèta al mèr, col
só ònd.
L'aqua la strapa la
càna,
la màgna la téra,
la chèva i àlbar,
la smarès i
insógni,
ma admàn na zinzèla
la turnarà a vulèr
a pèl d'aqua,
là, indù sparés al
fjóm
e a nàs i insógni.
Soli
'No sbuffo bbianco
sorte da la bbocca,
ne la foresta er
verde che vverrà.
Mano ghiacciate e
'r celo intanto fiocca
p'aricopri' cquer
ddubbio che cciò cqua.
Ner mentre er
freddo pizzica e mme tocca,
e ppuro li penzieri
sta a gghiaccià,
er ramo de la
scerqua accanto schiocca.
Come la fede a
cquelo che sto a ffà.
Soli se nassce e
ssoli poi se more,
e in mezzo un
ccarijò dde puttanate
bbone sortanto a
ccojjonacce er còre.
E ssolo sto a
ccercà ccose scercate,
tra gguazze ghiacce
provo a trovà un fiore
p'ariquadrà le
conte ggià ccontate.
Sguincia ne le
sbusciate
squilla 'na scincia
e l'eco, lentamente,
rimbarza e 'ntuzza
tutto sto gran ggnente...
Maternità
Co’ àgo grùsso e
ffìlo dóppio
jó passàto méo
aglio téo presènte rattóppo,
fìglio,
méndre co’ ammóre
silenzióso
pàsso agl’unginétto
la vìta méa de pazziènza.
Dóppo recàmo co’
mmàno espèrte jó futùro téo,
jó stìro, jó piégo
e tte jó dò.
Senté
- Sentieri -
Marcé ’rlongh ij
senté tra mirt e more
pogiand ij pé sle
pere un pò glissante
e respiré ’l përfum
dj’erbe e dle piante
mentre ’n cioché
lontan a bat soe ore.
Marcé arlongh le
sponde ‘d na bialera
e sente ‘l son ëd
l’eva ch’a fërfoja
- stërmà
’nt le rame -un merlo ’nt
la boschera.
I marcio e i vad,
sai nen s’im fërmerai,
fin quand che testa
e pé an porteran
a spass për ij
senté dla fantasìa:
l’é bel quàich
vòlta -soj
-andesne
via
e perd-se tra ij
pensé, lontan, lontan
ch’am pòrto là, an
col leu che mach mi sai.
A giacca e pàtrima
- La giacca di mio padre -
M’a ricùardu a
ccuduru e da terra,
e chilla terra c’u
jùarnu a mpurbarèava,
era llu tìampu appena
doppi a guerra,
era llu tìampu chi
si meadicampèava.
U postu sua era
alla spallera e da sèggia,
quann’era ppisanta
e da pùrbara pijèata,
na scotidijèata e
ddiventèava llèggia,
pronta ppe nn’èatra
jurnèata.
Intra na sacca
c’èra ssempri u muccaturu,
e tutti i quattru
zinni era annudèatu,
alla frunta
ll’asciuttèava llu suduru,
alla fina e da
jurnèata era nzuppèatu.
Intra d’èatra
sacca, c’era llu curtìallu,
ppe appizzutèari o
abbelliri nu jettunu,
ppe ttaglièari u
pèanu, allu morsìallu,
ppe mpidèari na
sazizza allu carbunu.
Na mànica mi
ricùardu ch’era scighèata,
mpinta alli ruvetti
e chilla spèara via,
mamma ll’avìa ccu
ccura arripezzèata,
un ci parìa bella
quanni papà s’a mintìa.
Ma ssa giacca a
nullu avìa dde pariri bella,
sudu a ppàtrima
avìa dde fèari cumpagnia,
si chiovìa, supa a
chèapa ppe d’urmella,
ccu llu vìantu,
abbuttunèata ppe lla via.
Mo sta sempri suda
a ssa spallera e sèggia,
ca un c’è cchiù a
ssu munnu chini ti portèava,
mo si ssenza
pùrbara e ssi cchiù llèggia,
ma era cchiù bella
quanni ti mpurbarèava.
Silvia
Le fomne coma ti, i
l’heu sempe savù
ch’a fan mach lòn
ch’i jë smija,
ma ch’it l’avrìe
’dcò sernù
la manera
d’andet-ne via
lòn-lì i l’avrìa
mai pensalo.
Bele che tò gest a
l’abia fame sgiaj
adess che Ti ʼt
l’has falo
i l’heu pì gnun
ringret përchè giumai
i l’heu capì che da
col pensé
ch’it l’avìe ’nt la
testa
it l’has pì nen
podù scapé
e a mi… e a
nojàutri, tut lòn ch’an resta
a l’é ’n pugn ëd
sënner ant un botin
e ’n baron d’
arcòrd andrinta al cheur,
arcòrd che da sèira
a matin
a l’han fàit ëd mi
n’òm che pian pianòt a meur.
Quand ch’i rivo a
ca da ’n sël travaj
a la fin ëd na
giornà ’n pò tròp ëstòrta
am capita da soens
ëd pensé che mai
i podrìa trovete
’ncora lì, dré da la pòrta
con le savate ’nt ij
pé,
con na mia camisa a
còl
e a mi ʼm
ven da pioré
parèj d’un fòl
përchè minca matin
col tò dispet
a më s-ciapa ’l
cheur coma n’infart
pen-a ch’im àusso e
i seurt dal let
ch’a l’é dësblà
mach da mia part
alora i vado a ʼmbrassé
nòstra fija
rendend-me cont che
ʼdcò
a mi
am piasirìa fé col
gest ch’it l’has fàit Ti,
ma i peuss nen
përmëtt-me d’andé via.
A te …
Te ne sei annata ‘n
giorno de novembre
un mese che
d’allora e’ triste assai,
ma pure s’era
ottobre o era dicembre
sarebbe stato
uguale, ce lo sai.
Sei annata via lassannome
‘n soriso
che custodisco
sempre drento ar core
e quanno er pianto
m’ha rigato er viso,
m’ha chiuso l’occhi
a tutto quell’ amore.
Cosi’ che quer
ricordo che mai more
nun cia bisogno de
na ricorenza,
che riacutizza solo
quer dolore
ch’e’ l’unico a
riempimme la tua assenza.
E adesso me rimane
solo quello,
la vita sta ferita
nun ricuce,
ma questo gia’
sapevo de sapello.
Ma la speranza
adesso me connuce
a crede che sarebbe
proprio bello,
se puta caso lla’,
ce fosse luce!
Sciuscia ventu,
sciuscia!
- Soffia vento, soffia! -
Quannu u ventu
sciuscia, lìeggiu, lìeggiu,
i fogghi di
l’àrburi accumincianu a trimari,
comu si fussiru ali
ri libellule chi pari câ
vulissiru vulari.
Sciuscia ventu,
sciuscia! Fammi sentiri
u ciàuru da me
tèrra, ciàuru di petri
sienza tempu.
’Ccarizzami sta frunti stanca
e surata, comu
accarizzi l’erba, comu si
fussiru i capiddi
di n’amanti, arrifriscami,
e fammi ‘nsunnari.
Sciuscia ventu,
sciuscia! Rapi porte e finestri,
cancia st’aria
ferma e cavura, câ mi fa accupari,
portati i me
pinseri e li me tristizzi luntanu,
arrifrisca sta
magica tèrra di Sicilia
dunni i paroli
sunnu comu a carta câ s’abbrucia
o suli addivintannu
cinniri.
Sciuscia ventu,
sciuscia! Purtami paroli ri
spiranza ca àutri
un mi sannu diri,
scaccia u me
pàtimentu picchì ‘nnamuratu
sugnu ri stâ tèrra,
ma stancu sugnu
ri sìentiri tanti
chiacchiaruna câ fannu sulu
prumìssi, e nenti a
mai canciatu.
Sciuscia ventu,
sciuscia! ‘Nta stâ tèrra di
ventu ci ‘n voli
assai, un sulu pi ghisari
pruvulazzu e
ngramaghiri a robba stinnuta,
ma pì fari pulizia
e scacciari li mali serpi
ca l’avi sulu
abbilinata, e a
giustìzzia e virità
da genti unista
calpistati.
Sciusia ventu,
sciuscia!
A stizze
- La goccia -
Che rumane de ‘na
stizza d’acque
doppe strétte e
strecate
sópe ‘a ponde de
doje díte?
Ninde.
Ma falle vatte de
cundinuue
sópe a na stagnére:
te trapane ‘a
cerevèlle;
cadè a llunghe
sèmbe o stèsse
poste:
spertuse pure ‘a
préte.
Tanda ninde misse
anzíme
te fanne nu
lavarone, ‘na jummare… nu mare!
E tu che faje:
te firme?
Quande grusse te
pote parì
nu ngemènde
pecceninne,
pure se nen tíne i
stuuale pe sbraccà,
nge stà pónde o
varche pe passà
nd’arrennénne maje
figghje mije,
vide cume te puje
arrabbattà
p’aggerà stu
mbedemènde e
…assa-fà a Ddije!
Chi sà
- Chissà -
Chi sà a còssa
pensen i violett
che se ninen in del
ventusell de marz
e l’ava intorna a
cercà dolcezza
come penser che
zonzonen in del coo.
Chi sà se compagn
de mì se sent piscinina
la formiga poggiada
sora on liber avert.
Chi sà còssa
proeuven i donn
quand riceven di
fior.
Chi sà se l'è
deperlù anca el mar
intrattanta ch’el
spetta l'estaa per vess vivuu.
Chi sà se la voeur
mostrà el sò vigor
la lusnada che se
descadena potent.
Chi sà se’l gh'ha
paura el fiumm
ch’el se sconfond
in del profond del mar
come l'è spauresg
on bagai
ch'el sa de diventà
on òmm,
s'ceppa i sò argin
e la vita
el menerà in abiss
e precipizzi
doe el vent
cresparà i sò ond
piccarà contra el
dur de on scoeuj
sfogarà el sò impet
in dì de uragan.
Chi sà perchè per
on piccett
l'è normal podè
sgorà
inveci mì me
stremissi a dervì i al.
Chi sà se hinn
battiment del cœur
o forsi struziass
in l'arlia
a fà caragnà i
nivol
e consolass cont on
ragg de sô...
chi sà perchè
voraria fermà la parola amor
sù i to laver de
zuccher al vell.
Er conzijere
- Il Consigliere -
Ce lo so, Roma! Te
vedo un po’ stanca.
Daje! Viè qua,
siedite su sta panca.
Che d’è? Nun
venghi? Mejo de no, dici?
Vatte a fidà de
quelli che sò amici?
Ciai la testa a
tutto quer dolore
che li tui fiji
t’hanno dato ar core;
core trafitto da
chi t’ha tradito.
Che stai a dì, ma’?
Anche a me m’hai partorito!
Si! Mbè? Quer
carcio in culo che te diedi?
Nun fu penzata mia.
Furno li piedi!
Epperò, mò che
famo? Rinvangamo?
Sò cose vecchie.
Nun rimucinamo!
Ma te voi mette a
sede? Dici none?
Ahhh! Te fa male
ancora er chiccherone.
Vabbè! Sto punto
m’arzo io, perché vojo
ditte ‘na cosa
prima che t’annoio.
È tua la vera colpa
der casino!
Co troppe cose
belle pe benino
hai coccolato così
tanta gente
che, a parer mio,
nun se merita gnente.
Come? Ogni mamma
farebbe l’istesso?
Nun è palese che
vengheno appresso
perché se vonno
arraffà tutto er bene,
giustificanno che
cianno er tu’ gene?
E io? Me lo chiedi?
Te vojo svejà!
Lungi da me venitte
a cojonà.
Co vero affetto te
sto a dà conzijo.
Sò preoccupato,
Roma! Io te sò fijo!
E t’assicuro, pe
quanto prezzioso,
che te fo sconto.
Io nun sò manco esoso.
Auscultate the time that
precedes
(to Antonia Pozzi)
-
Ausculti il tempo che precede -
Don't ask for chrysanthemums
now that you embrace the invisible;
the roses fade the loneliness
boredom is pierced by thorns.
When the day is tinged with the night
the countryside assists
to the cruelest events.
How many moths opacify the air
while the brightest star
suddenly grinds the teeth.
I figure when you were looking for
the nourished pulp of the void
and you lived on boulders and negations,
when borage
in a pool of water
was rotting while coughing in exhaustion.
I look at your strong roots
that rise in whirlpools of air,
embrace the twisted forbidden bodies
and the periwinkles, fixed, watching
astonished the interrupted cycles.
Fight the lost eyes
and the gaunt ivory shoulders
with the deepest knowledge.
If you talk of yourself, you confess the grief
of days abjured to joy.
Nothing smells of gray
but illuminates yearnings of escape
when, severe, you make the choice of land.
la videopoesia realizzata da ImmagineArte in
collaborazione con Rodolfo Vettor.
Videomaker Maria Grazia Vai
Under my blouse
- Sotto
la mia maglia -
The child I’m holding in my arms
is not mine and will never be.
Her head leans against my chest;
her stare is fixed; she’s falling asleep.
Her hand touches my hair;
her little fingers mingle with mine.
Minutes ago we laughed together;
under the rhythm of rain, we danced.
In an instant she moves-searching
for something under my blouse.
I’m not her mother and I’ll never be,
I swallow my tears, I don’t want to cry.
I can’t give her what she’s looking for.
I have just given her all my love.
We play. I often become her friend.
I think of her, but she’s not my child.
Little by little she’s closing her eyes-
finding herself in sweet white dreams,
the tip of her fingers under my blouse.
A broken song is resting on my lips.
Jeune fille Kurde
- Ragazza curda -
Tu as dû apprendre vite, ce que c’était la vie
et ce que c’était la mort,
mais tu n’as jamais pu savoir ce que c’était la paix.
L’amour de ta mère ton dernier souvenir,
après, seulement: batailles, violence, mort.
Les jours tous pareils, aussi bien en été qu’en hiver.
Chaud ou froid ça ne change rien pour toi,
faire feu ou mourir c’est ton seul choix.
Et tant pis, si tu n’as pas d’abri,
si tu ne dors pas et si tu pleures chaque nuit,
à l’aube il faudra encore bouger,
l’ennemi approche, il ne faut pas s’arrêter.
Ouvre le feu, tant que tu peux,
contre le monstre qui vole ta liberté,
mais garde toujours le dernier coup pour toi,
comme ça l’ennemi ne pourra pas t’avoir!
Des saisons infinies se sont achevées,
l’ennemi avait été battu, ou au moins il paraît,
mais sur ta tenue de combat, que tu n’as pas encore enlevée,
je vois du sang qui est en train de couler
L’ogre qui était ton allié,
a enlevé son masque et s’est dévoilé.
Dans l’indifférence des « gentils », que, pourtant, tu as aidés,
lâchement, dans le dos, il t’a poignardée.
Ainsi tu meurs dans l’heure la plus belle,
quand tu croyais déjà gagnée la guerre.
Pour toi qui, sur cette Terre, n’as eu ta place jamais:
une place spéciale, parmi les étoiles, sera réservée.
Marco Perna from Laxou - Francia
Čeriešnjove rože
- Fiori
di ciliegio -
Omartvieni
pred zidan arbide
viedet de
vas je ucjefana
glih atu
zdol
Počakat konac duzega izdiha
za pogledat
nazaj
Zagledat
gor
na koncu
velikega garmuja
varh cvetoče čeriešnje
Ponosna an
nešpotljiva čeriešnja
Ka misleš
sada ki si
nama pokazala življenje?
Nies mogla
usahnit an
ti
kier vse je
že martvo?
Obedan nie
biu mu ti zamiert
vse se je
bluo zdielo na mestu
Toja smart v
prestoru smarti
nie bla
zmotila
naših misli
Toje biele
rože
pa
so storle
ratat vse še buj grankuo
al vieš?
Je le connais
- Lo conosco -
Je le sais, je le connais
ce mouvement émotionel
qui celebre l'amour
de façon naturelle.
Être un cadeau, être soi même,
oh quel bonheur: quel repos
de l'âme. Je sais la joie,
le sourir, la caresse,
et cette sorte
de vie eternelle
qui naît des accolades
aux rencontres fidèles.
Und während ich (An meinen Sohn)
Und während ich
noch meine Zeit lebe,
mich an dem Moment haltend,
der schwebend davonfliegt,
verdickt sich
die Mauer des Bedauerns.
Wüsste ich nur ein Wort,
das ich dir schenken könnte,
das allein ausreichen würde,
um dich, meine Liebe,
vor jederTäuschung zu bewahren
und dich schließlich
in einem Land zu verstecken,
dessen Grenzen allein die Vernunft festlegt!
Aber selbst meine müde Haut abstreifend,
um mich von den Fehlern
-so vielen- der Vergangenheit zu befreien,
gelingt es mir nicht, für dich
neue Rinde zu sein
und ich bleibe nur Holz
um Kreuze zu machen…
An Old Age
- Vecchiaia -
An old age, the true confession
to childhood and the One- the truth
of lines, crowfeet across the face,
indelible that speaks time’s weathered image
Of age umbrage as eyes deep, dim,
blur under the sagging eyelash
Focussing on places: those floras, faunas,
hills... landscapes take snapshots
Packed inside the heart keeping
its endowment, and their
beautiful names, people, love, and history
in mind, in the cold winter evening
Sitting in squatting on a knee-high,
rural yard-wall, turning the heavy body
toward, that continuously watching
the pale, yellow setting westward grey sun...
Kr. Chamling fromThe land of Gautama Buddha & Mt. Everest, The Republic of Nepal
I’ve been waiting for you
- Ti ho aspettato -
I’ve been waiting for you
Long in my sleepless nights
Slight murmur on skin
Hot rose-perfumed breath
Waiting for that bitter taste
A heart’s desire has
I’ve been waiting for you
Long with the light heart
Of a never extinguished hope
Certainty of my young years
Mind’s energy
I’ve been waiting for you
Long untiring sea wave
Costant life rhythm
Necessary soul movement
I’ve been waiting for you in vain
Greeting an unwanted shape
A flutter not asked for
Eyes of a not blue sky
I’ve been waiting for you
Long so to exhaust body and mind
So to to cut the soul ties
Veins without blood
Leaves without lymph
I’ve been waiting for you
Without waiting any more
I’ve sung without singing
Followed the indicated path
Without end.
Je reviendrai
- Tornerò -
Aux enfants du siècle perdu
les mains meurtries
qui cherchent des appuis
à l’ecchymose des coups portés
la larme rougie
qui sombre dans la nuit
à la prière des sages engloutis
la lumière arrachée
qui éclate dans la quête
au voyage de l’homme intrépide
l’océan blanc
qui s’éveille en profondeur
à l’amour du cœur flamboyant
les songes vivants
qui rejailliront dans l’azur
je laisse mon soupir
la clef vivante de mon temple
je reviendrai
à la jonction de nos grands yeux
Laura Mucelli Klemm from Gaubiving -France
Le rouge et le blanc
- Il rosso e il bianco -
Le monde entier
qui suit les rails de l’urgence
n’en sait rien d’un pigeon sournois
observant les sous-jacents
d’une gouttière en bronze,
les pattes accrochées en bonne adhérence,
le bec orgueilleux.
Il tourne la tête en cercle
surveillant des environs
qui voit les humains sous forme de cons
distraits blasés égotistes distants,
les blame et les prend de haut.
Juge impitoyable aux yeux clignotants
il se dresse en maussade superiorité,
hargneux guetteur qui bondit désabusé
sous un ciel céruléen et peiné
qui cache fourmilières implacables.
C’est un rictus amer
qui conclut son tour de garde.
Ouais, ça ne vaut pas le coup
de se pousser encore plus loin
en visant les clés du revirement
dans l’immense botte de foin
de l’insouciance.
Il tourne
trottine
porte un regard sans espoir
et s’envole.
Un sentito ringraziamento al critico d’arte
PATRIZIA PERENCIN
A sua cura il commento critico alle
opere vincitrici
della sezione arti visive
(fotografia)
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